19/03/2025 alle 20:45 - Teatro, Teatro Comunale Vittorio Emmanuele

Martina Colombari in “Fiori d’acciaio”

di Robert Harling; Adattamento di Michela Andreozzi

con Martina Colombari

Gabriella Silvestri, Alessandra Ferrara, Caterina Milicchio, Cristina Fondi

REGIA: MASSIMILIANO VADO

“Fiori d’acciaio”, nella sua versione cinematografica, è uno dei romanzi di formazione che

hanno accompagnato la mia prima giovinezza, insieme a “Piccole donne”, “Harry ti

presento Sally” e “Colazione da Tiffany”: storie di donne, grandi figure femminili che

crescono, sbagliano, si confrontano, amano, odiano, combattono e qualche volta muoiono.

Più della letteratura, o forse in modo più efficace, il cinema mi ha insegnato gli infiniti modi

di affrontare la vita: “Fiori d’acciaio”, che vidi in sala poco più che adolescente, è stato il

film che più di ogni altro mi ha spiegato cosa significhi essere donne e, nonostante ciò,

fare fronte comune, ovvero la famosa, leggendaria, solidarietà femminile. Che poi, tradotto

in azione, significa conservare la propria identità, ritagliarsi un ruolo nel mondo, costruirsi

uno spazio, intessere delle relazioni o alimentare dei conflitti e, malgrado tutto, essere

capaci di unirsi. Obbiettivo non sempre facile, che però perseguo da sempre: nei miei

progetti, nel cinema, nel teatro, nella vita privata. Ormai, per me, fare fronte comune è

diventata una sfida, crederci una fede e lavorarci una questione di coerenza. Alla luce di

questo modus vivendi, “Fiori d’acciaio” è per me l’occasione di costruire, con un cast così

ricco e variegato, una banda di soliste, in grado di suonare insieme ma di battere in

volata quando serve; disegnare personaggi anche estremi ma capaci di ascoltarsi, o di

imparare strada facendo ad accogliersi senza snaturarsi. Solo da adulta ho scoperto che

il film era tratto da una piece teatrale, ancora attualissima, sotto un superficiale strato

di polvere fisiologico, e perfettamente rappresentativa di un microcosmo, quello del

negozio di provincia, che è specchio di macrocosmi le cui dinamiche, perfino oggi, fanno

fatica a cambiare. Per questo motivo abbiamo deciso di lasciare l’ambientazione di fine

anni ’80, perché ci permette di osservare un tempo appena trascorso e ci racconta che

siamo già nel futuro. E forse anche perché l’immagine e lo stile di quel periodo, negli abiti,

negli arredamenti, ma soprattutto nella musica, sono ormai identificativi di un momento

storico diventato ormai glamour. Oltre al fatto che certe modalità, oggi, sarebbero

condizionate dalla tecnologia. Tutto questo mi hanno fatto approcciare al testo e al

progetto con l’entusiasmo.E poi c’è l’affetto. Per me, un teatro affettuoso è ciò di cui

abbiamo bisogno, un racconto di sentimenti e di ironia che qualche volta è crudele ma mai

cinica, mai diventa sarcasmo. Se c’è una cosa che le donne sanno fare, è essere terribili,

spietate e capaci di affrontarsi, insomma, dei fiori di acciaio, senza mai smettere di amare.

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